Produzioni e Commerci
Produzioni
Bedriacum appare, sin dalla sua fondazione, un importante
centro di produzione ceramica, nel quadro di quelle attività economiche e
produttive incentivate e promosse dai Romani sul territorio delle
colonie nord-italiche. La vocazione manifatturiera del vicus
e, più in generale, del territorio della colonia di Cremona, era
d'altronde favorita, come nel resto della Pianura Padana, da condizioni
ottimali, quali l'abbondanza di argilla, acqua e legname.
L'assoluta maggioranza di reperti provenienti dagli scavi è costituita
da frammenti di ceramica pertinenti a vasellame da mensa e da cucina
per lo più di produzione locale: nel vicus è così documentata,
già dalla fine del II sec. a.C., la produzione di vasellame di tradizione romana.
Non è stato tuttavia ancora identificato, attraverso le indagini archeologiche nell'area pertinente
all'insediamento, alcun impianto produttivo: l'unica officina individuata a tutt'oggi
nel territorio circostante è la fornace di via Platina nella vicina colonia di Cremona, con i cui prodotti molti
frammenti di Bedriacum (soprattutto la ceramica a pareti sottili) mostrano affinità morfologiche e tipologiche.
Per quanto riguarda la ceramica fine da mensa, sono ampiamente
attestate, tra l'età tardorepubblicana e la prima età imperiale (II sec. a.C.-I sec. d.C.) la ceramica a vernice nera, la Terra Sigillata e la
ceramica a pareti sottili, che presentano talvolta, come
spesso accade per le produzioni periferiche, soluzioni originali
rispetto ai modelli prodotti nei centri peninsulari.
La ceramica a vernice nera di produzione centro-padana (le cui caratteristiche
tecnologiche sono state definite da una campagna di analisi fisico-chimiche XRF)
domina il panorama produttivo
dalla fine del II sec. a.C. alla prima metà del I sec. d.C.,
con patere e coppe caratterizzate da un sottile rivestimento di colore nero:
a una prima fase contraddistinta da una certa varietà morfologica (tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C),
ne segue una seconda, a partire dai decenni centrali del I sec. a.C., in cui si assiste a un notevole
abbassamento qualitativo, che si rispecchia sia nella standardizzazione dei tipi
sia nella trascuratezza della tecnologia. L'ultima produzione padana di ceramica a vernice nera,
datata all'età augusteo-tiberiana, è quasi limitata alle patere di grandi dimensioni,
dalle forme semplificate e con "verniciatura" delle superfici sempre più trascurata,
ma con un utilizzo più accentuato della decorazione, a rotellatura e con stampiglie varie,
sul fondo interno. E proprio a quest'ultima fase produttiva è da ascrivere la fabbricazione di
alcuni esemplari di grandi patere decorate con impressioni di gemme, presenti in numero cospicuo a
Bedriacum.
La produzione locale di vernice nera si caratterizza per un'altra
peculiarità, ovvero la creazione di una particolare variante della lucerna
del cosiddetto "tipo cilindrico dell'Esquilino".
Gli studi effettuati sui
frammenti presenti nel vicus hanno portato all'identificazione
di due gruppi tipologici: il gruppo A, i cui esemplari si distinguono per una certa accuratezza
nell'esecuzione e un corpo ceramico ben depurato rivestito da una vernice nera opaca,
che tende a scrostarsi con facilità il gruppo B, con frammenti che denotano
un'esecuzione piuttosto trascurata, una vernice di pessima qualità, prevalentemente di
colore marrone nerastro o rossastra, non uniforme e per la maggior
parte scrostata.
La produzione ceramica prosegue, senza soluzione di continuità,
anche nella prima età imperiale, adeguandosi alle nuove "mode"
peninsulari, pur conservando una propria originalità. Anche nel
territorio cremonese si passa dalla produzione di ceramica a vernice
nera a quella a vernice rossa (Terra Sigillata). Tra le caratteristiche
peculiari della produzione centro-padana una delle più interesssanti è
senza alcun dubbio la decorazione a gemme impresse, già riscontrata
sulla ceramica a vernice nera e presente anche sulla Terra Sigillata, di cui proprio
a Bedriacum si concentrano i rinvenimenti.
I frammenti di ceramica a pareti sottili recuperati nel vicus appartengono
a vasi potori (coppe, ollette, bicchieri) e si caratterizzano soprattutto
per la presenza di decorazioni, realizzate per la maggior parte
mediante la tecnica à la barbotine, che consiste nell'ornare la superficie
del vaso realizzando i motivi con una densa miscela di argilla depurata
applicata con un pennello.
Tra i motivi decorativi si segnalano
quelli raffiguranti elementi vegetali liberi o raccordati, variamente combinati con elementi
puntiformi di diverse dimensioni, anche se i frammenti con strigilature (elementi verticali a doppia curva contrapposta a forma di "S"), caratteristiche
soprattutto delle coppette, dominano quantitativamente
il panorama dei rinvenimenti.
Per completare il panorama della ceramica fine da mensa presente nel vicus, non può mancare
il riferimento agli "Acobecher", il vasellame "tipo Aco" in cui sono compresi bicchieri e coppette dalla raffinata decorazione di tradizione ellenistica.
Il bicchiere,in particolare, nelle sue varie accezioni, è senza dubbio la forma più usata e la ragione
va ricercata nel fatto che si tratta di una forma tipicamente celtica e, come tale, particolarmente gradita alla committenza
dell'Italia settentrionale e particolarmente congeniale ai produttori locali,
primo fra tutti C. Aco, che di questa ceramica è il maggiore imprenditore, oltrechè l'eponimo, e la cui ascendenza celtica non lascia dubbi.
I bicchieri "tipo Aco" rappresentano quindi, in maniera esemplare, la fusione tra la tradizione celtica e la cultura ellenistica dell'Italia settentrionale.
Tra i motivi decorativi più singolari e più diffusi si segnala quello definito a "Kommaregen" (pioggia di virgole), caratterizzato da fitti triangolini a rilievo
che ricoprono gran parte della superficie del vaso, rendendola ruvida e quindi meno scivolosa. Secondo alcuni studiosi l'origine di questo decoro
ha infatti uno scopo funzionale e non meramente estetico.
A Calvatone-Bedriacum sono stati ritrovati frammenti pertinenti ad una particolare classe ceramica romana che gli studiosi definiscono vasi antropoprosopi (= a volto umano).
In Italia Settentrionale sono recipienti di piccole o medie dimensioni (tra i 7 e gli 11 cm di altezza), sui quali il vasaio applicava orecchie, bocca, naso e occhi dopo averli modellati plasticamente o li realizzava con argilla diluita stesa con l'aiuto di un pennello.
Nel vicus sono venuti in luce un frammento in cui è riconoscibile un sopracciglio decorato con puntini a rilievo (2001) e un piccolo naso aquilino dalle narici molto sviluppate (2004).
Entrambi i frammenti pur non facendo parte di un medesimo manufatto appartenevano a vasi molto simili,
caratterizzati da un viso con naso sottile e adunco e grandi occhi a mandorla;
esemplari simili sono stati rinvenuti
sulle sponde del lago Maggiore e nella Pianura Padana, dal Pavese al Mantovano. Benchè i primi vasetti antropoprosopi rinvenuti in Italia settentrionale provenissero da tombe,
il loro utilizzo come urne cinerarie fu da subito escluso per le ridotte dimensioni dei manufatti. Nel corso del tempo sono peraltro diventate più numerose le testimonianze
provenienti da contesti abitativi. Si deve pertanto supporre che i vasetti facessero parte della suppellettile domestica e che talvolta venissero collocati nei corredi tombali, per il valore apotropaico che la presenza del volto umano conferiva loro.
Il vasellame da cucina è quasi esclusivamente di produzione
locale, e il suo studio si è rivelato interessante sotto molti
aspetti. In particolare, alcuni tipi di decorazione riscontrabili sulle olle rimandano a
tradizioni culturali preesistenti all'arrivo dei Romani: questo tipo di
ceramica e la sua decorazione sono infatti gli ultimi testimoni di una
tradizione celtica cisalpina, con sue proprie caratteristiche peculiari e
collegata al mondo transalpino.